STATO E MORTE.

Io ti capisco amico mio, ti capisco e ti chiamo così anche se non ci conosciamo. Ti capisco perché il mondo ci ha riservato lo stesso cappio. Conosco il tuo lacerante dolore, forse non completamente, ma lo capisco, lo sento.

Conosco quel cappio, conosco il buio nella mente, e, anche se io l’ho vinto non ti considero meno forte, non ti considero meno uomo. A vent’anni si è forti, vivi e anche le emozioni hanno un peso diverso, ci schiacciano, ci finiscono, ci addolorano così tanto che la nostra immensa forza si tramuta in agonia.

Caro Compagno non scrivo ciò per compassione, anche perché, tu purtroppo la mia compassione non la puoi più percepire, ciò che scrivo non è dedicato alla tua attenzione, so che non puoi darmela, ciò che scrivo è dedicato ai tanti coetanei qui dentro. Ai tanti figli di nessuno per cui la tua morte è solo una delle tante che sentono.

Ma non è così, amico mio. Tu hai gridato, è ora di ascoltare.

Noi non possiamo morire, noi siamo fiori che crescono nel giardino del dolore. I fiori che la società nasconde, copre, per paura che sboccino troppo belli, non possiamo farci falciare dallo Stato e dalla Morte.

Ciao Valerio.

Il mio cuore piange come il vostro.

Edmond.

INSIDE REBIBBIA.

Vi farò un quadro della situazione in questo carcere. Qui, a Rebibbia, puoi trovare di tutto dall’eroina sintetica al fumo, ce so traffici illeciti ovunque, ma dopotutto semo ladri mica boyscout.

Sono quattro piani, ogni piano 20 celle, non c’è il pavimento che divide i piani ma dei ballatoi. Puoi comprare anche un telefono volendo, costa 4 volte rispetto a fuori, ma si può fare tutto.

Questa sezione, la quinta, è la cosiddetta “zona franca” perché ogni traffico si svolge qui, ed è anche la più violenta non ci sono né telecamere né guardie. I “porta chiavi” (guardie) passano poche volte.

Quasi tutti siamo divisi in “batterie” (tipo gruppi), c’è la batteria dei neri, quella dei rumeni, i giocatori di poker, i trafficoni e tante altre. Qui si fa gruppo, molto più che in altri bracci, perché si è aperti di più e le liti sono tutt’altro che rare. Io sto in batteria co due pischelli, uno di Roma uno di Latina che vive (vabbè viveva) a Roma. Di solito se fa gruppo con quelli di zona appena arrivati in un altro carcere. Il saluto nel gergo carcerario si fa cosi: “Bona”. Quando si fa il letto il letto si lega, mai in più di due. Il “blindo” non si può chiudere da soli.

Nella maggior parte delle carceri i reati brutti stanno tra i protetti, ma a volte li mettono con noi pe faje menà. Non si accettano in primis i pedofili, gli stupratori e gli infami/collaboratori, poi femminicidi, violenze domestiche e altri reati di genere. Se ti mettono uno di questi in cella, se sei corretto devi spaccallo. Ma premetto che molti penali so pieni de infami, per questo ognuno c’ha la sua batteria, almeno sa con chi parlà, camminà e mangià. I “58 ter” o “cinquattontini” so detenuti che fanno la spia sotto traccia.

L’offesa più grave che puoi fare ad un detenuto è “infame”. Il detenuto “old school” non ammette denunce, neanche se sono le guardie a menargli, e menano. Chi ha preso la sveglia si chiama i divieti d’incontro, ma solo i balordi lo fanno.

Le sanzioni per le infrazioni sono i “rapporti” che non permettono di usufruire della liberazione anticipata ( i giorni).

Mi rendo conto che può apparire confuso, ma sono troppe cose, è un mondo parallelo con leggi assestanti.

Prima di salutarvi vi racconto una barzelletta:

Art. 27

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.

Ahhahahah, fa ride è.

Edmond Dantès

13.

E poi ti accorgi che nulla è pesante come credevi, ti accorgi che quei bagagli che ti ostinavi a portare erano solo d’ostacolo, ti accorgi che le mille e uno maschere che porti non si sono sciolte sul tuo volto come credevi, te ne accorgi per sbaglio, te ne accorgi grazie ad una donna ed un foglio, te ne accorgi perché tra le mille e uno maschere che conosci, con lei non ne hai saputa scegliere nemmeno una, te ne accorgi perché per una volta nella tua vita sei quasi te stesso, te ne accorgi perché il dolore è solo di contorno a quella donna che crede in te e alla tua rinascita, te ne accorgi perché per quella donna la tua dolcezza è bellezza e non debolezza.

Te ne accorgi e sei leggero.

Te ne accorgi e puoi volare, e anche se si vola solo nei sogni è sempre un passo avanti dai fottuti incubi.

Te ne accorgi perché ti senti molto meno solo tra le sue righe che tra la più caotica città d’estate.

Te ne accorgi e torni a ridere perché a volte si soffre tremendamente per imparare a sorridere, e mi accorgo che chiunque può essere abbagliante sotto i riflettori ma io per lei abbaglio dal buio più profondo, e mi accorgo che solo un vile mette maschere tra lui e carezze sincere.  E, mi accorgo che si può essere guerrieri nonostante gli occhi lucidi, che sono pronto a morire piuttosto che macchiare quella mano pulita che è riuscita ad accarezzare il mio volto privo di maschere.

Non piango sul latte versato, né sull’amore buttato, ma aiutami a resistere al tempo rubato.

Edmond Dantés

RIME 3.

Ridi perché io non rido più,

sii padrona dei tuoi battiti perché io non sono più padrone dei miei,

dimentica quel fastidioso orologio a casa, non badare al tempo,

lascia il suo fardello a me che sono obbligato a lottarci tutti i giorni.

Ama, ama come si fa solo nei film,

ama senza condizioni,

ama l’uomo sbagliato al momento giusto

o l’uomo giusto al momento sbagliato, ma ama,

sfoga il tuo amore fino a svuotarti e non temere

c’è sempre un nuovo amore pronto a riempirti.

Ama fino a maledirti ma non maledire l’amore,

non fare il mio sbaglio,

tu piccola donna ringhia come il leone più maestoso,

ringhia a chi vuole farti credere che l’amore uccide,

l’amore uccide chi lo maledice e non ha più il coraggio di aspettarlo.

L’amore è un fiore in un campo di metallo,

il più grande tarlo è averlo maledetto senza aspettarlo.

Edmond Dantés

STORIA DI ORDINARIA (IN)GIUSTIZIA.

Oggi ho preso in prestito dei sentimenti, li ho presi in prestito da un uomo a cui hanno strappato il cuore ancora pulsante, un uomo che rincorre ancora chi l’ha mutilato, non per amore, quell’uomo rivuole, gli serve il suo cuore perché qui niente pulsa.

Parlo a nome suo, vi racconto la storia di un uomo che trasformò i soldi in polvere, di quell’uomo che ora la polvere ce l’ha negli occhi, quell’uomo che descrive con speranza queste mura così grigie che di speranza il manto non hanno mai avuto. Voglio disegnarvi l’emozione di quest’uomo innocente che non si rassegna, vorrei descrivervi la sua folle speranza che lo logora, lo perseguita. Voglio strillare la sua innocenza, voglio urlarla oltre i muri, lì dove ci sono i vostri occhi e le vostre orecchie.

“Tre mesi e una settimana sono passati, tre mesi e una fottuta settimana da quel brutto giorno. Tre mesi fa quegli stronzi sono venuti a scavare tra le macerie della mia vita, e a furia di scavare qualcosa l’hanno trovato. Cose vecchie, quasi arcane, da alcune ero pure stato assolto. Cose di un decennio fa, situazioni superate. Dieci anni so’ tanti ed io in questi dieci anni mi ero reinserito, ce l’avevo fatta, dieci anni senza un reato, dieci anni in un continuo ballo per sbarcare il lunario, dieci anni a ballà, ma un ballo legale. Dieci anni, senti, dieci anni, senti che suono acre. Soprattutto se sono il tempo che sei stato condannato a vagare per queste mura. Dieci anni sono il premio che ho ricevuto per altrettanti di buona condotta. Dieci, cazzo di anni. Mi tolgono dieci anni, ma per cosa?

Sono passati tre mesi e una, maledetta, settimana, niente a confronto di ciò che mi aspetta. Eppure li sento, sento minuto per minuto scivolare sul mio volto ancora giovane, che fra dieci anni non sarà più lo stesso, sento minuto per minuto, perché anche un minuto pesa se si è innocenti, sento tutti i minuti scorrere, gli stessi che la macchina burocratica ha riservato al mio caso, un minuto per cancellare la mia vita. Sessanta secondi. Non vi auguro nulla, grigi burocrati, solo voglio che mi leggiate, voglio che proviate un minuto di vergogna, la vergogna che io non proverò mai, perché anche se consumato da queste mura, anche tra dieci anni, sarò più Uomo e Umano di chi qui mi ha confinato.”

Io ho camminato fra i demoni, ho imparato ogni loro movenza, ogni gioco ed esitazione e credetemi se vi dico che gli occhi di quest’uomo trasudano verità, credetemi perché fino ad ora non ho preso le parti a nessuno e se, a modo mio, mi sono permesso di raccontarvi quest’ingiustizia credetemi. Roberto Fazi esiste, è un Uomo a cui sorrido ogni mattina. Roberto Fazi non lo merita, Roberto Fazi è innocente. Se volete scrivetegli e supportatelo.

Edmond