7.

Morirei domani se potessi, ma chi sarei?

Un uomo che oltre ad aver regalato allo Stato i suoi anni migliori gli donerebbe tutto sé stesso. La morte è una poesia. Può essere fase nascente o morente, non so e non voglio ancora sapere, ma è un regalo che non farò a chi mi fa schifo. Il mio corpo freddo, esanime tra le braccia di bestie a cui non farei nemmeno reggere le mie feci. Il mio nome in bocca a porci che forse mi compatiranno, da morto, quando in vita facevano di tutto per umiliarmi. Morire qui sarebbe come regalare la mia essenza, parte della mia storia ed io preferisco essere sbranato dai leoni che regalare allo stato una briciola della mia esistenza.

VIVO, COMBATTO e continuerò fino alla fine. Non temo la morte, non amando a fondo la vita ma le rispetto entrambe, vivere qui è un insulto alla mia essenza, morirci una tortura alla mia anima. Chiavi, gabbie e botte non mi renderanno meno forte.

Edmond Dantès

6.

Nuovo giorno all’Hotel Regina, metto le cuffie e mi preparo alle mie flessioni, non lascio atrofizzare il corpo sennò la mente lo segue di conseguenza. Affiorano mille pensieri tra una serie e un’altra, una canzone che mi trascina in ricordi di emozioni sepolte e troppo spesso dimenticate che colpiscono più forte di un manganello, ed io conosco entrambi i dolori. Ho nascosto mille sofferenze per non colpire chi mi ama, ma in realtà chi mi ama?

Sono un abaco che fa i conti con le emozioni ormai perdute, è una vita di sottrazioni e l’unica cosa che si moltiplica è il tempo che perdo. Vorrei dire di aver trovato chi mi ama ma non è così nei loro volti vedo pena, non amore, ed io odio la compassione. In questa vita vojo annà a dama non solo sulla scacchiera mia, vojo sconfigge mostri che non so solo mia, vojo aiutà chi è come me, ma senza condizione. Voglio occhi pieni d’amore quando se pronuncia il mio nome.

Una vita sbagliata non m’ha levato l’onore.

Edmond Dantés

 

5.

 

Oggi porto il fardello dell’indifferenza, del menefreghismo, perché il carcere comporta anche questo. Troppi volti, troppe storie, troppi cantastorie e in mezzo ad un fiume di parole insensate io scivolo meccanicamente negli ingranaggi dell’indifferenza. Un uomo intelligente dà un volto a ciò che lo circonda, io no. Sono talmente assopito da questo posto di merda che tutte le mattine mi alzo come un automa all’ora della conta, non distinguendo nemmeno i volti delle guardie che vengono a sbattere le sbarre, sono talmente abituato alle perquisizioni che se non fosse per qualche stronzata che a volte mi contestano non ci farei neppure più caso. Un giorno una donna intelligente mi chiese se avessi mai subito torture, io risi.

Avrei dovuto rispondere di sì: da me stesso, qui dentro siamo costretti a torturarci da soli, pensando, aspettando e trattando da signore chi signore non sarà mai. Io ho dovuto soffrire per capire e forse dovrò morire per rinascere. Intendo una morte spirituale perché una parte di me intende ancora lottare.

Mi sto radicalizzando perché il sistema non lo posso perdonare.

Edmond Dantés

4.

Come tutti i giorni il suono del cannone riempie la mia mente, il Gianicolo ha appuntamento fisso con il detenuto, se non sento quel rumore nemmeno l’appetito si fa sentire, quel suono è divenuto un input per cibarsi, ahahahha. Il suono mi è quasi divenuto dolce, immagino giovani donne di altri posti vicini e lontani che stupite scrutano questo grande e rumoroso cannone di altri tempi a l’ora dello scoppio. Vorrei essere lì, in quell’istante vorrei vedere il loro sguardo innocente guardare i miei occhi colpevoli senza giudicare, perché dopo tutto anche un assassino al patibolo ha occhi dolci per il suo amore e perché no per un rapinatore. Vorrei guardare quelle giovani donne che immagino e fargli capire che le pene che ho sofferto superano di gran lunga quelle che ho inflitto e che prima di un ladro sono un uomo sconfitto.

Edmond Dantès

3.

È passato un altro giorno all’ Hotel Regina.                                                                                                                                                  Mentirei se dicessi che da ieri qualcosa è cambiato, alla lunga anche il cibo sembra lo stesso, ricordo il Natale del 2000 ma non ricordo il pranzo di ieri, è così monotono che non fa minima resistenza alla dimenticanza, se non fossi combattivo come ritengo di essere, diverrei monotono anche io. Questo posto e molte delle persone che lo popolano mi ripugnano quasi quanto lo Stato che ha creato le circostanze per cui io mi ci trovassi. Il mio odio mi salva dalla monotonia, l’indifferenza mi salva dalla demenza e la volontà mi salva da ambedue le morti che conosco: morale e fisica. Oggi è un nuovo giorno e la parola chiave è sempre la stessa: combatti.

Dalla cella 1 un vivo abbraccio.

Edmond Dantés

EDIZIONE STRAODINARIA

Edizione straordinaria: me sò rotto er cazzo. Non sò der gatto e non sò pazzo, me sò solo rotto er cazzo!

Me sò rotto er cazzo de gaggi che danno le mandate, figuramose de ste inferiate.

Me sò rotto er cazzo pure della conta la mattina, oggi alle otto domani prima.

Me sò rotto er cazzo dei soliti otto canali, telegiornali tutti uguali.

Me sò rotto er cazzo de cinque sotto un tetto, è una fiction che non finisce presto.

Me sò rotto er cazzo del corridoio affollato, quante galline hai rubato? Chi hai ammazzato? Io a spaccià sò un drago ma lo Stato m’ha tanato.

Me sò rotto er cazzo de me, de voi, e me butto, il carcere è brutto, sono un vivo in lutto, qui è morto tutto.

Edmond Dantés

 

 

 

Terremoto pt. 2

Casca il Re,

la città trema,

che Re che è cascato pure il culo m’ha tremato.

“Tutti all’aria, correte che si crolla lì ve salverete”.

Io resto in branda, rifiuto il consiglio del mio carceriere, non prego aiuto. Che pace, la sezione è vuota. Riuscirei a dormì pure co una magnitudo de 8 abituato a sta borgia, non nego che stamattina me so svegliato sul tagadà ma che paura ce devo avè? More tanta gente a modo, non posso morì io che così a modo non so mai stato. Siate altruisti lasciate li strilli alle donne, le preghiere ai bambini che siano loro i primi a salvarsi e se volete pregare, sì, pregate, ma siate altruisti anche lì. Io resto qui, in branda, non prego, non corro, rispetto chi ha subito catastrofi vere, quindi non mi impanico, il mio attaccamento ad una vita disastrata sarebbe un insulto per un bambino finito sotto le macerie. Aspetto calmo è il mio mestiere, vi regalerei la vita e quella di ogni mio carceriere per recuperare chi davvero non doveva finire sotto le macerie.

Edmond Dantés

Terremoto

La mia gabbia trema, trema davvero.

La terra tremava, qui il caos puro e oggi paghiamo pegno. Materassi bruciati, tentativi di smuramento, il terremoto ha acceso i mille fuochi in noi altri. Non nego che dopo la scossa più forte, mi sono vestito, allacciato bene le scarpe e tra i rumori assordanti, qualcosa in me sognava. Una crepa abbastanza grande, una crepa per fuggire. Altri due anni e più, non me li leva nessuno, perché non avventurarsi? Forse chi non evaderebbe è prigioniero due volte fisicamente e moralmente. La mia morale non mi proibisce de certo di approfittare del varco, no. Ma il varco stava nella testa mia, qua c’è solo più casino, più paura, più tensione. Io m’allaccio bene le scarpe và, non si sa mai.

 

                                                                                                                     Un saluto, Edmond Dantés